Il corpo umano non scompare mai veramente: …

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Il corpo umano non scompare mai veramente: a cosa serve la patologia forense

I morti non vanno mai via definitivamente. In archeologia e scienze forensi, questo è letteralmente vero. Sebbene si tenda a pensare che i resti mortali si trasformino rapidamente in nulla, in realtà il corpo umano è molto resistente e può persistere per centinaia e persino migliaia di anni.

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La maggior parte della gente avrà sentito parlare delle mummie egiziane e di come fino al 2600 a.C., gli egizi sapevano come conservare i loro morti con tanto successo da averli fatti resistere fino ai giorni nostri. Ma anche senza procedimenti di conservazione, gli antichi resti umani in Sud America sono persistiti, grazie alla disidratazione del corpo e il rallentamento dell’azione batteri dovuti al cima. Le grotte in ambienti meno estremi possono essere abbastanza secche e fredde da preservare resti umani, come Schmerling in Belgio, dove furono scoperte le prime ossa dei nostri parenti di Neanderthal.
Oggi, la cosiddetta valle arcobaleno sul lato nord del Monte Everest mostra i corpi degli scalatori che sono morti nel tentativo di raggiungere la vetta himalayana. Le loro giacche dai colori vivaci danno il nome al luogo e il freddo estremo ha bloccato la decomposizione.
Ma anche quando i corpi si decompongono completamente, è ancora possibile trovare la traccia di una vita. Archeologi e scienziati forensi, fanno affidamento su questo per capire come può succedere che una vita finisca e per conoscere il mondo in cui una persona ha vissuto ed è morta. Ma queste storie non sono solo accademiche: queste ricerche possono aiutare a sostenere le indagini sulle atrocità e sulle persone scomparse, quando a volte l’unico testimone di un crimine non può più parlare da solo.

Il giardino dei fuggitivi di Pompei. Lancevortex Wikipedia , CC BY-SA

La verità non è mai sepolta
La decomposizione inizia quasi immediatamente dopo la morte, con la fine delle normali funzioni corporee e la diffusione dei batteri interni. Questi processi causano la rottura ed il decadimento dei tessuti del corpo umano.
I patologi forensi usano queste osservazioni per calcolare il tempo trascorso dalla morte. Una volta che i tessuti molli si sono completamente decomposti, tutto ciò che rimane è lo scheletro.
Lo scheletro e i denti sono molto più robusti. Sebbene subiscano una serie di sottili cambiamenti dopo la morte, possono rimanere intatti per molti anni.
Durante la vita di una persona, il suo scheletro è un registratore dinamico che viene modificato sia nella sua forma che nella chimica dalla dieta, dall’ambiente e dalle attività quotidiane. Poiché diversi denti si formano in punti diversi durante l’infanzia e diverse ossa nello scheletro si rimodellano a velocità diverse, questi tessuti duri essenzialmente fossilizzano informazioni sulla vita di una persona dall’infanzia fino al momento della morte. Gli archeologi e gli antropologi sono altamente abili nello sbloccare questo archivio scheletrico.
Essere in grado di identificare un corpo spesso dipende dalla quantità di tessuto lasciato indietro e dalle condizioni in cui si trova. Ma il corpo è una struttura complessa di parti organiche e inorganiche, che rispondono in modo diverso alle diverse condizioni di sepoltura. Le condizioni ambientali che possono preservare molto bene i tessuti molli, come una torbiera acida, possono distruggere completamente i tessuti duri.

Un odontologo forense studia i resti dentali di qualcuno che si ritiene sia morto in un conflitto passato. Wikipedia

Nei luoghi in cui le condizioni ambientali possono essere estremamente aggressive per il corpo, i resti sono ancora spesso visibili. Nella famosa sepoltura di Sutton Hoo in Suffolk, i suoli acidi distrussero completamente le ossa di quelli sepolti, ma conservarono le forme organiche dei corpi – come ombre nella sabbia.
Anche il fuoco non distrugge davvero il corpo. Le temperature nei moderni crematori possono superare i 1.000° C, eppure lo scheletro sopravvive praticamente intatto.
Le ceneri date ai parenti sono il risultato di un processo secondario, un cremulatore, che frantuma le ossa in gran parte intatte in “ceneri”. Gli studi su Pompei ed Ercolano, come questo, mostra anche che gli scheletri possono sopravvivere anche a spettacolari eruzioni vulcaniche.
Di: Massimo Zito
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