Antartide, nell’Ovest un quarto di ghiacciai instabili. “Rischio per innalzamento dei mari”
I dati dei satelliti dell’Esa dimostrano che in 25 anni le lingue di ghiaccio si sono assottigliate a un ritmo sempre più elevato a causa dei cambiamenti climatici. Lo studio condotto dall’Università di Leeds con la partecipazione dell’Esrin di Frascati
DUE gigantesche lingue di ghiaccio sono, ormai da anni, osservati speciali nella regione del West Antarctica, la zona occidentale dell’Antartide. Sono i ghiacciai Pine Island e Thwaites, i più vulnerabili del continente, il cui scioglimento potrebbe portare all’innalzamento dei mari in tutto il mondo di diversi metri. Nuove stime, possibili grazie alle osservazioni dei satelliti dell’Agenzia spaziale europea, hanno rilevato come un quarto di tutti i ghiacciai dell’Antartide occidentale sia “instabile” a causa soprattutto dei cambiamenti climatici.
I risultati della ricerca, condotta da un team guidato da ricercatori dell’Università inglese di Leeds, e del quale fa parte anche Marcus Engdahl dell’Esa-Esrin di Frascati, sono stati pubblicati sulla rivista Geophysical Research letters e presentati al convegno dell’Esa dedicato all’osservazione della Terra, Living Planet Symposium, in corso a Milano.
La zona rossa
In 25 anni di osservazioni (1992-2017) effettuate con gli altimetri dai satelliti Esa ERS-1, ERS-2, Envisat e CryoSat, hanno evidenziato come, in alcune zone, il ghiaccio si sia assottigliato fino a 122 metri e il ritmo con cui va perduto, secondo i ricercatori, ora è cinque volte superiore rispetto all’inizio del periodo, nel 1992. Sono più di 800 milioni le misurazioni fatte in un quarto di secolo per valutare la quota del ghiaccio sul livello del mare, che scende a una velocità sempre più elevata.
Al centro di questa “zona rossa” ad alto rischio ci sono proprio i due ghiacciai che preoccupano di più i glaciologi e i climatologi di tutto il mondo. Nel 24 per cento di questa regione la perdita di spessore è più accentuata che in tutto il resto del continente, da anni si osservano distacchi di iceberg grandi come città e caverne che erodono dal basso a causa del riscaldamento dei mari. Le grandi porzioni di banchisa liberate, di per sé, non contribuiscono all’innalzamento degli oceani, ma, come un tappo che salta, destabilizza tutto il fronte dei ghiacciai che spingono dalla terraferma e si muovono verso il mare. Un confine che arretra sempre più.
Ghiaccio e neve
Ancora una volta, parliamo di effetti dei cambiamenti climatici. I glaciologi di Leeds hanno infatti comparato le misure da satellite con i modelli che simulano le precipitazioni nevose della zona (Regional atmospheric climate model, Racmo) per stabilire quanto la quota del ghiaccio fosse influenzata dal meteo e quando dai mutamenti del clima. Scoprendo che la quantità di neve caduta provoca piccoli cambiamenti sullo spessore del ghiaccio nel lungo periodo. Perciò l’erosione dei ghiacciai come il Thwaites o il Pine Island, che mina il loro equilibrio, non può che essere dovuto a fattori climatici: “Questa è una dimostrazione fantastica di come le missioni satellitari possono aiutarci a capire come sta cambiando il nostro Pianeta – sottolinea Marcus Engdahl – le regioni polari sono ambienti ostili ed estremamente difficili da raggiungere sul campo. Perciò l’osservazione dallo spazio è uno strumento indispensabile per tracciare gli effetti del climate change”.
“Ora vediamo chiaramente che la tendenza all’assottigliamento si è diffusa rapidamente attraverso alcuni dei ghiacciai più vulnerabili dell’Antartide – spiega Andy Shepherd diretore del Centre for Polar Observation and Modelling britannico e prima firma dello studio – e questa scomparsa sta causando l’innalzamento dei mari in tutto il Pianeta”. Dal 1992, l’inizio del periodo di osservazione, la scomparsa dei ghiacci antartici si stima che abbia contribuito all’innalzamento dei mari per circa 4,6 millimetri. E procede sempre più veloce. Non solo attorno ai poli.
Dalle Alpi alle Ande
I ghiacciai scompariranno da metà dei siti patrimonio dell’umanità entro il 2100, se gli sforzi per la riduzione delle emissioni e il contenimento del riscaldamento globale non dovessero essere efficaci. La conclusione è contenuta in uno studio pubblicato ad aprile su Earth’s Future, rivista dell’Unione dei geologi americana, che stima come tra i 19.000 ghiacciai all’interno di 46 siti Unesco dichiarati patrimonio mondiale dell’umanità, la metà potrebbero non esistere più alla fine di questo secolo.
In caso di uno scenario senza una riduzione delle emissioni, i ghiacciaio scomparirebbero da 21 dei 46 luoghi. Anche in caso di taglio dell’immissione di gas serra, in otto di questi non ne rimarrebbero comunque. A seconda dello scenario, potrebbe andare perso dal 33 al 60 per cento del volume di ghiaccio, sempre secondo lo studio. Tra i ghiacciai a rischio il Grosser Aletschgletscher, nelle Alpi svizzere, e di altri piccoli ghiacciai alpini e sui Pirenei. La perdita più importante avverrebbe nelle Ande argentine, nel parco nazionale di Los Glaciares e in Nord America, sul Waterton Glacier International Peace Park, in Canada.
di MATTEO MARINI
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