Zygmunt Bauman: perché pensare sociologicamente?

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Zygmunt Bauman: perché pensare sociologicamente?

Zygmunt Bauman è stato forse l’accademico interdisciplinare che ha meglio interpretato e spiegato, con parole semplici, il caos che ci circonda e il disorientamento che viviamo. I suoi testi, a partire da Modernità liquida del 2000 in poi, lo hanno consacrato a vera e propria superstar del pensiero sulla postmodernità. Pochi sanno, tuttavia, che i testi più importanti di Bauman (dal punto di vista didattico), non hanno “liquido” nel nome. A questo proposito è stato dunque necessario iniziare una ricoperta di questi testi, partendo proprio da un libro usato spesso nei primi corsi di sociologia universitari. E dunque eccoci qui a parlare di “Pensare sociologicamente”.


Cosa vuol dire “pensare sociologicamente”?
Zygmunt Bauman in questo testo descrive con grande semplicità tutti i processi fondamentali che determinano il pensare sociologicamente. Ma cosa vuol dire, di grazia, “pensare sociologicamente”?
Per il sociologo tutto parte dall’acquisizione di una forma mentis particolare, aperta alla sensibilità. Una conoscenza strutturata sociologicamente può renderci più sensibili verso gli altri e il mondo poiché, grazie a essa, ci si interroga e si esplorano condizioni umane date per scontato, per intenderci, quelle condizioni apparentemente immutabili. In altre parole, pensare sociologicamente significa comprendere di più le persone che ci circondano, le loro paure, i loro sogni, le loro preoccupazioni e le loro miserie. Il pensiero sociologico è un potere sui propri diritti, un potere che destabilizza certezze e dati per scontato: è un tipo di pensiero che rende flessibile il mondo e che tende ad allargare gli obiettivi e l’efficacia pratica della libertà individuale e collettiva. Per Bauman:


“NON ESSENDO POSSIBILE RITENERE CHE LA MIA LIBERTÀ SIA PIÙ FORTE E PIÙ DEGNA CONSIDERAZIONE DI QUELLA ALTRUI, DOBBIAMO RISPETTO ANCHE VERSO QUELLE PERSONE CHE POSSONO AVER SCELTO DI AVVALERSI DELLA LORO LIBERTÀ DI COSTRUIRE UNA VITA DIVERSA DALLA NOSTRA. SOLO A QUESTE CONDIZIONI LA “NOSTRA” LIBERTÀ PUÒ ESSERE ESERCITATA” (P.16).


Capire gli altri (anche non umani)
Pensare sociologicamente ci può aiutare a capire le altre forme di vita, non solo quella umana. Troppo spesso ci facciamo guidare dal senso comune (quel tipo di conoscenza ineffabile e disordinata con cui la sociologia ha a che fare e dal quale cerca di affrancarsi) che ci impedisce di conoscere realmente gli altri. Semplificando le immagini del mondo attraverso gli stereotipi riduciamo gli altri a mere caricature. Così facendo releghiamo gli altri nella sfera dello sconosciuto, o comunque del mal-conosciuto: ed ecco che nascono i fenomeni di odio, maldicenza e attribuzioni generalizzate (per esempio, TUTTI i rom sono ladri, TUTTI i meridionali sono scansafatiche, TUTTI i cinesi sanno usare le arti marziali, TUTTI i pitbull sono cani feroci, etc. etc). Questo contribuisce, in certi casi, a strutturare addirittura un certo immaginario che si salda a tal punto nella memoria collettiva che è difficile da ripensare e ridefinire.
Ragion per cui è importante pensare sociologicamente per gettare luce sulle forme di vita e associazione diverse dalle nostre e a convincerci a rivedere la rigidità della linea di demarcazione che tendiamo a tracciare tra noi e gli altri. Questa nuova forma di comprensione rende più facile e soddisfacente la comunicazione. Pensiamoci: mettendoci nei panni dell’altro, immergendosi nelle situazioni e comprendendo i valori dell’altro, possiamo dissipare dubbi e ignoranza ed evitare incomprensioni e gaffe nel quotidiano. Un esempio?
Se ci troviamo a mangiare in un ristorante giapponese e cerchiamo di raccapezzarci con le bacchette evitiamo, con impeto di rabbia dopo diversi tentativi infruttuosi di utilizzarle per mangiare, di infilzare il cibo con le stesse rimanendole in piedi. Questa è una scortesia abbastanza grave poiché le bacchette in quella posizione ricordano quelle utilizzate per i funerali nipponici.
Non è facile pensare sociologicamente
Pensare sociologicamente può sembrare facile, ma non lo è. Come è stato anticipato questo è un pensiero destabilizzante, molto critico. Per alcuni potrebbe addirittura creare uno stato d’ansia. Pensiamoci, chi vorrebbe vivere mettendo in dubbio ogni cosa?
Ovviamente questa è un’esagerazione, ma bisogna riconoscere che il senso comune risulta essere uno strumento non solo utile ma semplice a cui affidarsi, addirittura pacificante: io semplifico, penso che sia così, che è stato così e sarà sempre così, vivo la mia vita e la accetto. Il senso comune è onnipresente. Per Clifford Geertz (1926-2006) è un sistema culturale che può variare drammaticamente da un popolo a un altro. Per Bauman è così difficile allontanarsi dal senso comune perché quest’ultimo ha un rapporto così stretto con la sociologia che “solo poche scienze dichiarano con tanta chiarezza la loro necessaria relazione con il senso comune” (p.8).
Ragion per cui, non c’è alcuna certezza che se si acquisisce un certo quantitativo di comprensione sociologica si possa superare del tutto una conoscenza di senso comune. Quello a cui bisogna puntare anche se non si vuole diventare sociologi accademici è una capacità di riflessione empatica. Bisogna acquisire dunque la capacità di guardare al di là delle proprie esperienze e di riconoscere il fatto che gli aspetti apparentemente familiari della vita possano essere interpretati in modo nuovo ed essere visti sotto una luce diversa. Un esempio?
Esempio: il saluto
Le società occidentali – tendenzialmente – usano per salutarsi la stretta di mano, quelle orientali un inchino. Perché? ognuna delle due pratiche ha origini diverse a cui sono stati attribuiti significati diversi. Pensiamo ai patti di sangue come la stretta di mano con annessa ferita, col sangue che si mescola. La stretta di mano può essere vista come un’invasione del proprio spazio comunicativo (vedesi prossemica). Ora pensiamo all’inchino, alla prostrazione. Ci si abbassa esponendo il collo, una parte estremamente vulnerabile dell’essere umano. Questo atto di fiducia verso l’interlocutore comunica che ci si “affida” a lui, che sia la vita o l’onore dell’interessato. Immaginiamo di incontrare un distinto signore giapponese. Se non si conosce l’inchino come saluto può suscitare stupore o addirittura ironia. Un qualcosa che, sicuramente, farà indispettire il nostro interlocutore.
Questi esempi sono utili per farci capire che compiere una auto-analisi e mettere in discussione le certezze sono la base per iniziare a pensare sociologicamente, ma attenzione: senza un adeguata preparazione si corre il rischio di incappare in errori grossolani. Per questo è necessario studiare sociologia. Tutto deve essere regolato dal metodo scientifico, non ci si può improvvisare sociologi. Il testo di Bauman a questo proposito risulta essere un libro fondamentale per muovere i primi passi nelle scienze sociologiche.
Bibliografia
Bauman Z., Pensare sociologicamente, Ipermedium libri, Napoli, 2000;
By Francesco D’Ambrosio
FONTE:

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