Complessità sull’orizzonte
Leonard Susskind, fisico teorico presso la Stanford University in California, è stato a lungo uno dei leader negli sforzi per unificare la meccanica quantistica con la teoria generale della relatività. La ricerca per la teoria unificata lo ha portato a sostenere idee contro-intuitive, come la teoria delle superstringhe o il concetto che il nostro universo tridimensionale sia in realtà un ologramma bidimensionale. Ma ora è parte di un piccolo gruppo di ricercatori che litigano per una nuova e altrettanto strana idea: che la chiave di questa misteriosa teoria del tutto è da ricercarsi nel ramo della scienza informatica conosciuta come complessità computazionale.
Questo non è un sottocampo dove i fisici hanno avuto la tendenza a cercare intuizioni fondamentali. La complessità computazionale si fonda su questioni pratiche, come ad esempio il numero di passaggi logici necessari per eseguire un algoritmo. Ma se il metodo funziona, dice Susskind, potrebbe risolvere uno degli enigmi teorici più sconcertanti di questi ultimi anni: il firewall, paradosso del buco nero, che sembra implicare che la meccanica quantistica o la relatività generale debbano essere sbagliate. E in più, egli dice, la complessità computazionale potrebbe dare ai teorici un nuovo modo per unificare due rami della scienza – con idee basate fondamentalmente su informazioni.
Dietro un firewall
Tutto è iniziato 40 anni fa, quando il fisico Stephen Hawking dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito, si rese conto che in un buco nero gli effetti quantistici potrebbero irradiare fotoni e altre particelle fino a quando non siano completamente evaporate.
Come altri ricercatori si sono affrettati a sottolineare, questa rivelazione porta ad una contraddizione preoccupante. Secondo le regole della meccanica quantistica, il flusso in uscita di radiazione deve conservare le informazioni su tutto ciò che sia caduto nel buco nero, come anche la materia caduta dentro porta esattamente le stesse informazioni attraverso l’orizzonte degli eventi del buco nero, il confine all’interno del quale la gravità del buco nero diventa così forte che nemmeno la luce può sfuggire. Tuttavia questo flusso bidirezionale potrebbe violare una legge fondamentale della meccanica quantistica nota come teorema di no-cloning, che vieta di eseguire una copia perfetta dell’informazione quantistica.
Fortunatamente, come Susskind e i suoi colleghi hanno osservato [1] nel 1995, la natura sembra eludere tale violazione rendendo impossibile vedere entrambe le copie in una sola volta. Un osservatore che rimane al di fuori dell’orizzonte non può comunicare con colui che è caduto dentro; ma nel 2012, quattro fisici dell’Università della California, Santa Barbara – Ahmed Almheiri, Donald Marolf, Joseph Polchinski e James Sully, conosciuti collettivamente come AMPS – hanno avvistato un’eccezione pericolosa a questa regola [2]. Hanno trovato uno scenario in cui un osservatore potrebbe decodificare le informazioni nella radiazione, saltare nel buco nero e quindi confrontarle con il suo duplicato ‘proibito’ durante la discesa.
AMPS ha concluso che la natura impedisce questo abominio creando un firewall ardente appena dentro l’orizzonte che incenerisce qualsiasi osservatore – in realtà ogni particella – che cerchi di oltrepassare l’orizzonte degli eventi. In effetti, lo spazio finirebbe improvvisamente all’orizzonte, anche se la teoria gravitazionale di Einstein dice che lo spazio deve essere perfettamente continuo lì. Se la teoria di AMPS fosse vera, ha detto Raphael Bousso, fisico teorico presso l’Università della California, Berkeley, “questo sarebbe un colpo terribile per la relatività generale”.
Non calcola
La fisica fondamentale è stata in subbuglio da allora, e molti teorici hanno lottato per trovare una soluzione a questo paradosso. I primi a portare la complessità computazionale nel dibattito sono stati Patrick Hayden, un fisico della Stanford che è anche un informatico, e Daniel Harlow, un fisico all’Università di Princeton nel New Jersey. Se l’argomento firewall dipende dalla capacità di un osservatore di decodificare la radiazione in uscita, si sono chiesti quanto fosse difficile farlo.
Incredibilmente difficile, ma ci son riusciti. Un’analisi computazionale della complessità ha mostrato che il numero di passaggi necessari per decodificare le informazioni in uscita aumenterebbe esponenzialmente con il numero di particelle irradiate. Nessun computer concepibile potrebbe finire i calcoli se non dopo molto tempo che il buco nero abbia irradiato tutta la sua energia e sia evaporato, insieme con i cloni di informazioni proibite. Così il firewall non ha ragione di esistere: lo scenario di decodifica che lo richiede non può accadere, e il paradosso scompare.
Hayden si è detto scettico del risultato in un primo momento. Ma poi lui e Harlow hanno trovato più o meno la stessa risposta per molti tipi di buco nero [3]. “Sembrava essere un principio solido”, spiega Hayden: “una congiura della natura impedisce di eseguire questa decodifica prima che il buco nero svanisca.”
L’argomento Harlow-Hayden , ha fatto una grande impressione su Scott Aaronson, del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge che lavora sulla complessità computazionale ed i limiti della computazione quantistica. “Considero quello che hanno fatto come una delle più notevoli sintesi di fisica e informatica che abbia mai visto nella mia carriera”, ha detto.
La risonanza è stata forte anche tra i fisici teorici. Ma non tutti sono convinti. Anche se il calcolo è corretto, dice Polchinski, “è difficile vedere come si potrebbe costruire una teoria fondamentale in questo contesto”. Tuttavia, alcuni fisici stanno cercando di fare proprio questo. C’è la convinzione diffusa che le leggi della natura debbano in qualche modo essere basate su informazioni. E l’idea che le leggi potrebbero in realtà essere accolte dalla complessità computazionale – che è definita interamente in termini di informazione – offre una nuova prospettiva.
Tutto questo ha certamente ispirato Susskind nello scavare più a fondo sul ruolo della complessità. Per chiarezza matematica ha scelto di fare i suoi calcoli in un regno teorico noto come spazio anti-de Sitter (AdS). Questo descrive un cosmo che è come il nostro Universo, nel senso che in esso tutto, tra cui i buchi neri, è governato dalla forza di gravità. A differenza del nostro Universo, tuttavia, esso ha un confine – un dominio in cui non c’è gravità, solo particelle elementari e settori disciplinati dalla fisica quantistica. Nonostante questa differenza, studiare fisica nello spazio AdS ha portato a molte intuizioni, poiché ogni oggetto e processo fisico all’interno dello spazio possono essere matematicamente mappati ad un oggetto o processo equivalente sul suo confine. Un buco nero in AdS, per esempio, equivale a un gas caldo di particelle quantistiche ordinarie sul confine. Meglio ancora, i calcoli che sono complicati in un dominio, spesso si rivelano essere semplici nell’altro. E dopo che i calcoli sono completati, le conoscenze acquisite in AdS possono generalmente essere tradotte nuovamente dentro il nostro Universo.
La fisica fondamentale è stata in subbuglio da allora, e molti teorici hanno lottato per trovare una soluzione a questo paradosso. I primi a portare la complessità computazionale nel dibattito sono stati Patrick Hayden, un fisico della Stanford che è anche un informatico, e Daniel Harlow, un fisico all’Università di Princeton nel New Jersey. Se l’argomento firewall dipende dalla capacità di un osservatore di decodificare la radiazione in uscita, si sono chiesti quanto fosse difficile farlo.
Incredibilmente difficile, ma ci son riusciti. Un’analisi computazionale della complessità ha mostrato che il numero di passaggi necessari per decodificare le informazioni in uscita aumenterebbe esponenzialmente con il numero di particelle irradiate. Nessun computer concepibile potrebbe finire i calcoli se non dopo molto tempo che il buco nero abbia irradiato tutta la sua energia e sia evaporato, insieme con i cloni di informazioni proibite. Così il firewall non ha ragione di esistere: lo scenario di decodifica che lo richiede non può accadere, e il paradosso scompare.
Hayden si è detto scettico del risultato in un primo momento. Ma poi lui e Harlow hanno trovato più o meno la stessa risposta per molti tipi di buco nero [3]. “Sembrava essere un principio solido”, spiega Hayden: “una congiura della natura impedisce di eseguire questa decodifica prima che il buco nero svanisca.”
L’argomento Harlow-Hayden , ha fatto una grande impressione su Scott Aaronson, del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge che lavora sulla complessità computazionale ed i limiti della computazione quantistica. “Considero quello che hanno fatto come una delle più notevoli sintesi di fisica e informatica che abbia mai visto nella mia carriera”, ha detto.
La risonanza è stata forte anche tra i fisici teorici. Ma non tutti sono convinti. Anche se il calcolo è corretto, dice Polchinski, “è difficile vedere come si potrebbe costruire una teoria fondamentale in questo contesto”. Tuttavia, alcuni fisici stanno cercando di fare proprio questo. C’è la convinzione diffusa che le leggi della natura debbano in qualche modo essere basate su informazioni. E l’idea che le leggi potrebbero in realtà essere accolte dalla complessità computazionale – che è definita interamente in termini di informazione – offre una nuova prospettiva.
Tutto questo ha certamente ispirato Susskind nello scavare più a fondo sul ruolo della complessità. Per chiarezza matematica ha scelto di fare i suoi calcoli in un regno teorico noto come spazio anti-de Sitter (AdS). Questo descrive un cosmo che è come il nostro Universo, nel senso che in esso tutto, tra cui i buchi neri, è governato dalla forza di gravità. A differenza del nostro Universo, tuttavia, esso ha un confine – un dominio in cui non c’è gravità, solo particelle elementari e settori disciplinati dalla fisica quantistica. Nonostante questa differenza, studiare fisica nello spazio AdS ha portato a molte intuizioni, poiché ogni oggetto e processo fisico all’interno dello spazio possono essere matematicamente mappati ad un oggetto o processo equivalente sul suo confine. Un buco nero in AdS, per esempio, equivale a un gas caldo di particelle quantistiche ordinarie sul confine. Meglio ancora, i calcoli che sono complicati in un dominio, spesso si rivelano essere semplici nell’altro. E dopo che i calcoli sono completati, le conoscenze acquisite in AdS possono generalmente essere tradotte nuovamente dentro il nostro Universo.
Dopo aver esplorato le molte somiglianze tra queste connessioni, Susskind e Maldacena hanno concluso che si tratta di due aspetti della stessa cosa – quel grado di entanglement del buco nero – un fenomeno puramente quantistico – determinerebbe la larghezza del tunnel spaziale, una questione di geometria pura.
Con il suo ultimo lavoro, dice Susskind, si scopre che la crescita di complessità sul confine di AdS si presenta come un aumento della lunghezza del tunnel spaziale. Quindi, mettendo tutto insieme, sembra che l’entanglement sia in qualche modo legato allo spazio, e che la complessità computazionale sia in qualche modo legata al tempo.
Susskind è il primo ad ammettere che tali idee sono solo suggerimenti provocatori; non fanno una teoria vera e propria. Ma lui e i suoi sodali sono convinti che le idee trascendono il paradosso firewall.
“Non so dove tutto questo porterà”, dice Susskind. “Ma credo che queste connessioni tra complessità a geometria sono la punta di un iceberg.”
Fonte: Nature 509 , 552-553 (29 maggio 2014) doi : 10.1038 / 509552a
[1] Black hole complementarity versus locality – [Lowe et al. 1995]
[2] Black Holes: Complementarity or Firewalls? – [Almheiri, Marolf, Polchinski, Sully 2013]
[3] Quantum computation vs. firewalls – [Harlow, Hayden – 2013]
[4] Computational Complexity and Black Hole Horizons – [Susskind – 2014]
[5] Cool horizons for entangled black holes – [Maldacena, Susskin – 2013]
Di: Stefania de Luca
Fonte articolo: