Olbia, il mistero delle maschere di Mamoiada: ecco dove svelarlo
Olbia, 19 febbraio 2019 – Se Dioniso potesse osservare la mostra appena inaugurata all’Art-Port Corner dell’Aeroporto Costa Smeralda di Olbia forse non lesinerebbe parole di apprezzamento per essere stato accostato a un rito che, senza dubbio, ha radici molto più antiche delle sue.
L’arcaico dio della vegetazione, solo in seguito identificato con l’estasi, è il filo conduttore – un po’ irriverente, ma azzeccatissimo – della mostra dedicata a uno degli oggetti più belli e misteriosi della tradizione sarda: le maschere del carnevale barbaricino. Oggetti affascinanti realizzati da tre maestri cesellatori – Ruggero Mameli, Dario Ballore e Ignazio Porcu – in legno di pirastru, il pero selvatico che puntella di bianco i paesaggi sardi a primavera.
Morostesa 2019
La mostra nasce da un desiderio duplice: da una parte cercare di spiegare il significato delle maschere, spesso sconosciuto ai più; dall’altra parte creare una rete di reciproca collaborazione tra il territorio barbaricino, in questo caso rappresentato dal Museo delle Maschere Mediterranee di Mamoiada, e la Gallura, rappresentata dalla Geasar e dall’Aeroporto Costa Smeralda.
A presentare la mostra sono stati la curatrice Maria Assunta Fodde, il direttore commerciale Geasar Lucio Murru, il direttore del museo Mario Paffi e la guida turistica Rita Mele.
La mostra è composta da sei maschere: quattro maschere sono di Ottana (due merdules e due boes), due maschere di Mamoiada (mamuthones). La simbologia è, chiaramente, quella ancestrale del legame dell’essere umano con la Terra, gli animali, il ritorno alla vita (simboleggiata dalla primavera).
Il boe è il legame uomo-animali, il rosso è il sangue versato nel sacrificio propiziatorio del dio che si immola per permettere alla terra di “risorgere”. Tutto, nel carnevale barbaricino, ha un significato e un perché: dalle pelli agli stracci, dai visi dipinti alle maschere, dai colori utilizzati al suono cupo e antico dei campanacci.
È un vero e proprio rito che si ripete, uguale, da millenni e proprio per questo affascina l’uomo moderno. Dunque, quale luogo migliore di un aeroporto per raccontare le maschere?
“Ci piace questo luogo – ha spiegato Mario Paffi, direttore del Museo di Mamoiada -. Questo è un aeroporto che vuole legarsi fortemente al territorio. È vero che il turista viene qui per il mare, ma il turista oggi è molto attento anche a cosa c’è nell’interno dell’isola. Per questo il Museo ha investito molto per accogliere i turisti stranieri”. Che poi rappresentano la maggioranza che visita il museo mamoiadino.
Il Museo di Mamoiada, che da oltre 18 anni divulga la cultura barbaricina in Sardegna e nel mondo, organizza Mumask: il festival delle maschere del Mediterraneo. Se l’anno scorso è stato protagonista il Portogallo, quest’anno è il turno della Spagna con la splendida Galizia.
Tale evento si inserisce in un contesto assai florido, anche dal punto di vista turistico. Mamoiada ha 2100 residenti, una marea di bed and breakfast e una ventina di cantine che imbottigliano il Cannoanu. Mumask, così, mette insieme questo territorio così umanamente fertile e vivo insieme a uno scambio culturale internazionale fatto di musica, tradizione e gastronomia tipica. Le date sono già fissate: 28, 29 e 30 giugno.
Da Angela Deiana Galiberti
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