Pianeta Nove esiste o no ? Una nuova ricerca indaga il mistero
Poche vicende nella storia dell’astronomia sono avvolte da incertezza e misteri, come quella riguardante il fantomatico “Pianeta Nove” (o pianeta X, prima del declassamento di Plutone). Moltissimi ricercatori hanno tentato, negli ultimi anni, di fare luce su questo mistero, ma senza riuscire a trarne conclusioni definitive.
Prima di presentarvi i risultati di un nuovo studio, che porta nuove prove a sostegno dell’ipotesi Pianeta Nove, cerchiamo però, come novelli Sherlock Holmes, di analizzare i fatti. Innanzi tutto occorre fare una premessa. Le leggi di gravitazione universale di Newton, che regolano il moto dei pianeti, consentono di calcolarne con precisione estrema le orbite e prevedere dove questi si troveranno a una certa data futura. Deviazioni o perturbazioni da queste leggi possono dunque significare una sola cosa: la presenza di uno o più oggetti che con la loro attrazione gravitazionale provocano gli effetti suddetti. Già due volte il verificarsi di una situazione simile ha portato alla scoperta di nuovi corpi celesti, ovvero di Nettuno e di Plutone.
In questo caso a mostrare orbite anomale sono alcuni oggetti appartenenti alla fascia di Kuiper, ovvero quella fascia di corpi transnettuniani di cui fanno parte, ad esempio, Eris, Makemake e Ultima Thule. È evidente che l’ipotesi più semplice e immediata per spiegare queste perturbazioni è quella della presenza di un pianeta di dimensioni più che ragguardevoli, nel profondo della fascia di Kuiper, o ben oltre essa. Per intenderci meglio, diamo un po’ di misure. Nettuno si trova a circa 30 UA dal Sole (ricordiamo che 1 UA equivale alla distanza media Terra-Sole). La fascia di Kuiper si estende circa tra le 30 e le 50 UA. Ancora oltre, tra le 80 e le 100 UA, si suppone che cominci l’eliopausa, ovvero quella zona di spazio non più influenzata dal vento solare. Infine occorre allontanarsi moltissimo, arrivando a circa 20.000 UA, per incontrare i primi oggetti appartenenti alla Nube di Oort, il grande serbatoio delle comete che circonda tutto il Sistema Solare.
Veniamo quindi al nuovo studio in questione, pubblicato recentemente dagli astronomi Konstantin Batygin e Michael Brown del Caltech su Physics Reports. Nell’articolo i due ricercatori spiegano che, analizzando le orbite della maggior parte dei corpi appartenenti alla fascia di Kuiper, è possibile spiegare queste ultime in termini delle interazioni gravitazionali dovute agli otto pianeti del Sistema Solare. Tuttavia per una piccola parte di essi, in particolare per quelli più distanti, ciò non è possibile, a causa di strane anomalie nelle orbite stesse. La presenza di un pianeta sconosciuto però potrebbe far quadrare i conti. Quest’idea era già stata proposta dagli stessi astronomi nel 2016. Tuttavia ora, rivendendo le stime e i calcoli, è stato possibile posizionare Pianeta Nove tra le 400 e le 800 UA, oltre 13-26 volte l’orbita di Nettuno dunque, e con un massa stimata tra le 5 e le 10 volte quella della Terra.
Questi risultati sono frutto di accurate simulazioni effettuate dagli autori dell’articolo, in modo da spiegare le anomalie gravitazionali trovate a partire dai dati ottenuti dalle osservazioni sugli oggetti della fascia di Kuiper. Tutte le simulazioni sembrerebbero dunque indicare l’ipotesi di Pianeta Nove come la più accreditata. Peraltro un oggetto di questo tipo, posto a quella distanza, una volta individuato, potrebbe persino essere risolubile grazie agli strumenti di nuova generazione come E-ELT.
D’altra parte gli stessi Batygin e Brown mantengono una certa prudenza, memori di esperienze simili che hanno portato a grossi abbagli, come quello relativo al mai confermato Nemesis. Per questo, hanno prodotto un secondo lavoro, pubblicato sull’Astronomical Journal, in cui si ipotizza che le perturbazioni gravitazionali osservate siano causate da un ulteriore disco di oggetti, al momento ignoto, posto oltre l’orbita di Nettuno. Le stime vorrebbero tali disco composto da corpi pressoché ghiacciati e con una massa totale che va dalle 6 alle 24 volte quella terrestre. L’azione cumulativa di questi corpi potrebbe pertanto rendere superflua l’ipotesi di Pianeta Nove.
C’è però da considerare una fatto estremamente interessante, come dichiarato dallo stesso Batygin e che va a supporto dell’ipotesi planetaria. Da quanto si è scoperto osservando i pianeti extrasolari, sembrerebbe che la classe delle cosiddette Super Terre sia piuttosto comune. Tuttavia nel Sistema Solare un oggetto di questo tipo mancherebbe. Se però si dovesse confermare l’esistenza di Pianeta Nove, insieme alle stime sulla sua massa, si andrebbe a colmare questo buco. E ovviamente, ciò andrebbe ad aprire nuovi punti di domanda, come ad esempio il perché un pianeta di quel tipo si trovi a una distanza tale dal Sole, visto che nella maggior parte dei casi pianeti rocciosi della classe delle Super Terre sembrerebbero trovarsi molto più vicini alla stella d’origine. In questo caso, occorrerebbe forse ricorrere alle teorie di migrazione planetaria, che prevedono lo spostamento di un pianeta dalla sua orbita di origine sotto determinate circostanze.
In definitiva, tornando a Sherlock Holmes, mai come in questo caso vale il detto: “Quando hai eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità.”
Antonio D’Isanto è ricercatore postdoc presso l’Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. Ha conseguito il dottorato in astronomia presso l’Università Ruperto Carola di Heidelberg e ha all’attivo pubblicazioni su importanti riviste come MNRAS e Astronomy&Astrophysics. Si occupa prevalentemente di astroinformatica, ovvero l’applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si interessa inoltre di reti neurali, deep learning e intelligenza artificiale. Da diversi anni si occupa attivamente di divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Collabora con Tom’s Hardware per la produzione di contenuti scientifici.
Di: Antonio D’Isanto
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